“Ieri ero tranquilla, poi sono andata in bagno e ho visto (…) che si mangiava la cacca e poi (…) l’hanno legata con lo scotch mani e piedi e bocca e le hanno messo una coperta di sopra. Gli facevano guai, le mettevano le mollette nel naso, gli davano schiaffi e io avevo paura. Volevo chiamare i carabinieri ma non ci sono riuscita. Ora ho tanta paura che mi fanno del male”. Anche i carabinieri e i procuratori che hanno indagato sulla casa degli orrori di Licata, in provincia di Agrigento, hanno fatto fatica a leggere quel testo scritto da una delle ragazzine ospiti del centro sequestrato ieri. L’inchiesta “Catene spezzate” (condotta dai carabinieri della compagnia di Licata e coordinata dalla procura della Repubblica di Agrigento) ha fatto luce su quella che sarebbe dovuta essere una casa per minori disabili, ma che in realtà avrebbe avuto i connotati di un lager: bambini legati con le catene ai letti, lasciati a digiuno e rinchiusi a chiave in piccole stanze per ore ed ore.
Proprio come ha raccontato una delle ragazze alla vicepreside della sua scuola che, non appena ha capito di cosa stesse parlando, non ha esitato ad azionare il registratore del proprio smartphone: “Ci tolgono le chiamate e ci chiudono nella stanza. E poi…”. “E poi, che cosa?” chiedeva l’insegnante alla ragazzina. “E poi danno bastonate a quelli che non hanno le famiglie. E uno lo tengono legato”. Parole che, oltre ad aver inorridito le professoresse, hanno consentito ai carabinieri di far partire le indagini e di mettere fine alle violenze in quella che una delle vittime chiamava “la casa degli orrori”.

Ma ad aiutare gli inquirenti è stato anche il disegno che un altro ragazzo ha realizzato in classe, con il quale la vittima provava a raccontare una fiaba scrivendo accanto: “Una principessa che sta facendo un incubo, in una casa da sola con una strega che tiene tutti i ragazzi in una casa con i suoi complici. Lei è una strega cattiva e crudele che riempie di medicinali quelli che non hanno famiglie, li addormentano e li picchiano. All’improvviso mi sveglio da questo sogno brutto, dove mi rinchiudevano nella stanza, mi levavano le chiamate alla famiglia”. Tutti elementi che hanno convinto gli investigatori a far partire immediatamente le indagini sulla coop “Suami”.

Tratto da www.palermo.repubblica.it