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EMOZIONE BELLA

Sei emozione bella.

Spasmo attorcente che piega, che toglie il respiro.

Contorta, schiacciata
di gioia fresca boccheggio
e annaspo in battiti esultanti di te.

Emozione bella!

Un lacrima scende
copiosa e invadente.

Ti allontani
ma sono d’oro io
riscoperta
tra le emozioni fatte di te.

© Lorella Ronconi

(Dalla raccolta

Sirena Guerriglia 2013)


PRESUNTUOSI SONO I MIEI SOGNI…

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I MIEI SOGNI

Lucciole danzanti
fiaccole e torce
piroettanti
tra mani giocoliere
sono i miei sogni.
Scintille,
faville sfavillanti
brillanti,
presuntuosi, pretenziosi
i miei sogni.
Da sempre compagni
delle mie aguzzine notti
senza quiete.


Lorella Ronconi Attimi, tra meridiani e paralleli
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SONO UNA SIRENA, MI DISPIACE PER VOI 

Sono una sirena. Lo so, non posso farci niente, mi dispiace per chi è costretto a camminare, ma io sono una sirena. 

Nel 1998, un mattino di febbraio, mi sono svegliata e mi sono scoperta Sirena. I’m a mermaid:  canto e incanto con le mie poesie…  –> Guarda nel link le mie produzioni:

http://lorellaronconi.it/poesie/pubblicazioni/ )

I marinai di me hanno paura  hanno paura del mio canto della mia poesia  e si allontanano  quando vi vedono . Io vivo nei profondi abissi dove i tuoi piedi non possono arrivare. Nei miei abissi è molto buio, talvolta freddo, ma ci sono delle creature meravigliose che tu non puoi nemmeno immaginare. Spesso ti guardo, ti osservo da lontano, tu corri, corri, cammini.. ma a volte non sai dove andare, ti perdi nell’insicurezza: forse perché non hai le pinne? Talvolta mi sento diversa, sono triste perché tu non mi guardi e fuggi da me. Posso capire, non conosci il mio mondo. Sai, la felicità è delle persone che amano la loro diversità, io non sono altro che una sirena, canto e incanto, non aver paura di stringere le mie mani.

#LorellaRonconi #SirenaGuerriglia #senzabarriere #donnafemmina


SENTIRE È IL VERBO DELLE EMOZIONI 

“Mi piace il verbo sentire…

Sentire il rumore del mare,

sentirne l’odore.

Sentire il suono della pioggia che ti bagna le labbra,

sentire una penna che traccia sentimenti su un foglio bianco.

Sentire l’odore di chi ami,

sentirne la voce

e sentirlo col cuore.

Sentire è il verbo delle emozioni,

ci si sdraia sulla schiena del mondo

e si sente.” Alda Merini


IO RUOTO, IN UN MONDO FATTO DI PASSI

JE ROULERuoto, scivolo, piroetto
tra piedi frettolosi
non trovo le mie orme
sul calore della sabbia
solo i segni delle mie ruote
due strisce affondate dal peso della sofferenza.
Sofferenza gratuita
sofferenza che scivola lentamente
come la mia vita, sgrana goccia dopo goccia
attraverso il tubo della flebo.
Attendo, aspetto
cerco le mie orme
non le trovo: io ruoto
je roule.

 
Due linee sul grigio dell’asfalto
segnano l’inverno.
Aspetto al di là delle vetrine dei negozi
Io non entro, attendo fuori.
Scale fra me e la gente
porte troppo strette
barriere che strappano la libertà.
Mondi inesplorati
oltre quelle rampe, la vita si muove agitandosi
fra vanità e gambe frettolose
fra sogni che strappano l’anima e carezze dell’impossibile
ho perso le mie orme
ma io ruoto, si.
In un mondo fatto di passi
je roule.

Lorella Ronconi (Acquista da qui il libro: Je roule Ed. Ets Pisa)
Photo by Joanne Francine Joyce
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NUNZIO GARANTI, BACKSTAGE: LORELLA RONCONI

 

“La Forza della Poesia”

Ho sempre pensato al poeta come a un omaccione, con barba e occhialini, seduto su un comodo divano al centro di una immensa stanza zeppa di libri. Ora che mi trovo realmente di fronte ad un poeta mi rendo conto che può essere una meravigliosa donna dagli occhi azzurri e i biondi capelli, seduta al centro di una piccola stanza, circondata da un mondo di oggetti…il “suo mondo”.

Il pomeriggio passato con Lorella è volato via con la leggerezza tipica dell’incontro tra amici. Sono stato subito colpito da questo aspetto e nei suoi occhi ho visto la luce del sogno.

Probabilmente perché per Lorella i sogni sono veri tanto quanto la realtà .

E con lei hai spesso la sensazione che la nostra realtà non sia  così perfetta quanto i sogni.

Nunzio

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IF « AND – WHICH IS MORE- YOU’LL BE A MAN, MY SON!»

Are losing theirs and blaming it on you;
If you can trust yourself when all men doubt you,
But make allowance for their doubting too:
If you can wait and not be tired by waiting,
Or being lied about, don’t deal in lies,
Or being hated, don’t give way to hating,
And yet don’t look too good, nor talk too wise;

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If you can dream—and not make dreams your master;
If you can think—and not make thoughts your aim,
If you can meet with Triumph and Disaster
And treat those two impostors just the same:
If you can bear to hear the truth you’ve spoken
Twisted by knaves to make a trap for fools,
Or watch the things you gave your life to, broken,
And stoop and build ‘em up with worn-out tools;

If you can make one heap of all your winnings
And risk it on one turn of pitch-and-toss,
And lose, and start again at your beginnings
And never breathe a word about your loss:
If you can force your heart and nerve and sinew
To serve your turn long after they are gone,
And so hold on when there is nothing in you
Except the Will which says to them: “Hold on!”

If you can talk with crowds and keep your virtue,
Or walk with Kings—nor lose the common touch,
If neither foes nor loving friends can hurt you,
If all men count with you, but none too much:
If you can fill the unforgiving minute
With sixty seconds’ worth of distance run,
Yours is the Earth and everything that’s in it,
And—which is more—you’ll be a Man, my son!

 » (Rudyard Kipling, If)

 If – Ascolta l’audio qui

Reading of the poem If-, by Rudyard Kipling – 1895

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Se saprai mantenere la testa quando tutti intorno a te
la perdono, e te ne fanno colpa.
Se saprai avere fiducia in te stesso quando tutti ne dubitano,
tenendo però considerazione anche del loro dubbio.
Se saprai aspettare senza stancarti di aspettare,
O essendo calunniato, non rispondere con calunnia,
O essendo odiato, non dare spazio all’odio,
Senza tuttavia sembrare troppo buono, né parlare troppo saggio;

Se saprai sognare, senza fare del sogno il tuo padrone;
Se saprai pensare, senza fare del pensiero il tuo scopo,
Se saprai confrontarti con Trionfo e Rovina
E trattare allo stesso modo questi due impostori.
Se riuscirai a sopportare di sentire le verità che hai detto
Distorte dai furfanti per abbindolare gli sciocchi,
O a guardare le cose per le quali hai dato la vita, distrutte,
E piegarti a ricostruirle con i tuoi logori arnesi.

Se saprai fare un solo mucchio di tutte le tue fortune
E rischiarlo in un unico lancio a testa e croce,
E perdere, e ricominciare di nuovo dal principio
senza mai far parola della tua perdita.
Se saprai serrare il tuo cuore, tendini e nervi
nel servire il tuo scopo quando sono da tempo sfiniti,
E a tenere duro quando in te non c’è più nulla
Se non la Volontà che dice loro: “Tenete duro!”

Se saprai parlare alle folle senza perdere la tua virtù,
O passeggiare con i Re, rimanendo te stesso,
Se né i nemici né gli amici più cari potranno ferirti,
Se per te ogni persona conterà, ma nessuno troppo.
Se saprai riempire ogni inesorabile minuto
Dando valore ad ognuno dei sessanta secondi,
Tua sarà la Terra e tutto ciò che è in essa,
E — quel che più conta — sarai un Uomo, figlio mio!

 » (Rudyard Kipling, Se)

– {{Information |Description=Reading of the poem If-, by Rudyard Kliping |Source=Own work by uploader |Date=Feb 9, 2009 |Author=Luis.imperator |Permission=public domain |other_versions= }} [[Category:Rudyard Klipin –

 

 

 


MANEGGIARE CON CURA, L’ABBRACCIANTE CREATURA 

FRAGILE  

Leggera delicatezza

spezzante limitatezza

dell’umana caducità:

Fragilità.

Povero, solo, essere,

che hai e non sei:

maneggiare con cura…

l’abbracciante creatura…

mareggiata dell’amore.

 

Maneggiare con cura

il fragile di me

che forse

vi appartiene.

L. R. “Sirena Guerriglia” www.lorellaronconi.it

 

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A CHI SORRIDE ANCORA, NONOSTANTE TUTTO…

A chi è felice, a chi è triste, a chi si sente solo, a chi combatte e non si arrende mai, a chi sta aspettando fuori da una sala operatoria, a chi sta lavorando ed è lontano da casa, a chi sta viaggiando, a chi è libero e a chi è relegato da rabbia e guerra.
A chi ancora sorride nonostante tutto, a chi crede in un domani migliore, a chi sogna, a chi sta dormendo in una casa vuota, a chi la casa non l’ha più.

A chi ama, a chi è stato tradito, a chi sogna un amore, a chi vorrebbe avere vicino la persona che ama e non può, a chi c’è sempre stato, a chi ci sarà.
A voi, a me, bollicine! ^_^  E che 2017 sia, buon anno amici miei!

Lorella Ronconi

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Ti auguro di affrontare sfide e vincerle,

di sfidare il dolore e superarlo il prima possibile,
di gioire delle cose belle e farne la tua forza,
ma sopra ogni cosa,
ti auguro un amore sincero accanto a te
che sappia comprenderti e guardarti negli occhi con amore
per cio’ che sei.
Stephen Littleword

CLAODIN DO GIABBE, IL POETA CHE DIPINGEVA IN VERNACOLO LA SUA SAVONA

Se ami il mare, la poesia, la forza, la bontà, il prossimo, la cultura della tua terra amerai poesie di Mario Scaglia, in arte, Claodin do Giabbe. Questo singolare poeta di Savona, fu scrittore vernacolare appassionato della cultura, delle tradizioni savonesi e liguri.
E’ stato un grande uomo prima di tutto ed artista osservatore, intelligente narratore, della sua gente. Sono affascinata dall’amore, dalla struggente passione che egli aveva per ogni particolare di Savona; Mario Scaglia/Claodin, sapeva dipingere nei suoi versi (talvolta con fermezza, talvolta con tremulanti abbracci, talvolta con ironici rimproveri) colori e sfumature con sonorità del tutto unici.
A 10 anni dalla sua morte (Savona, 19 marzo 1931 – 27 luglio 2006) è onore e gioia pubblicare alcune sue poesie assieme alla storia della sua vita testimoniata da Francesco Scaglia, suo figlio.

Claodin Dö Giabbe – A Mae Taera
E schêuggi, e mâ e çe,
e gente drûa, silenziösa e dûa,
e barche, e rei,
e pâmati, e tremagi,
e câ gianche,
e erbi d’ouiva,
e vento,
che da levante
e da ponente infûria,
ö mae Ligûria!

Scaglia Mario – La Mia Terra
E scogli, e mare, e cielo,
e gente rude, silenziosa e dura,
e barche, e reti,
e palamiti e tramagli,
e case bianche,
ed alberi d’olivo,
e vento,
che da levante
e da ponente infuria,
o mia Liguria!

Francesco Scaglia: “Se non fosse che chi me l’ha chiesto è una amica a cui non sono capace di dire di no probabilmente non l’avrei fatto. Perche’ scrivere del proprio padre, Mario, in maniera obiettiva è come essere obiettivi quando si parla di se stessi, praticamente impossibile.

Non puoi parlare di lui senza ricordare quando ti portava a fare il giro in vespa, in strade ancora da completare, o a prendere la spuma alla bocciofila, o quando andavi con lui nel suo lettone e cominciava ad intristirti con i suoi discorsi sull’essere il bastone della sua vecchiaia, o quando portava il cocomero – l’anguria – a casa ed era festa come avesse portato i dolci più buoni del mondo.

Eravamo una famiglia modesta  e mio padre aveva un sacco di difetti. Il più grosso era quello che per tirare avanti la baracca, oltre alle otto ore dell’officina  del gas andava a servire a tavola al ristorante di Corso Colombo. Così mio padre non lo vedevo molto spesso, e quando lo vedevo passava il tempo tra raccolte di francobolli, libri di fantascienza e storia egizia, letture di storia e dialetto ligure e a scrivere in una lingua strana simile all’italiano ma con segni e  punteggiature che non mi erano mai state insegnate a scuola.

Eravamo poveri perchè la guerra a mio padre aveva tolto quasi tutto, anche il suo di padre, massacrato di botte dalle ronde fasciste mentre tornava la sera a casa dalla sua latteria dove, a detta della gente che li ha conosciuti, “veniva fatto il più buon gelato di Savona”, e finito nella lista delle ronde perchè aveva partecipato agli scioperi del ’29. Così rimane solo con la madre, all’età di dodici anni, nel bel mezzo di una guerra che sembrava non dovesse finire mai, gli studi scolastici ancora da inventare, una gelateria dove la mamma continua a svolgere l’attività in via Boselli, nel centro della città.  

Alla fine arriva la liberazione, finisce la guerra e la famiglia prova a riprendersi. Mario è un ragazzo che i fatti della guerra hanno cresciuto troppo in fretta e lo dimostrerà il suo carattere ribelle. Frequenta il Ginnasio presso il Collegio dei Padri Scolopi a Carcare con profondo interesse.  Nonostante gli ottimi voti in tutte le materie, un giorno in uno scambio di opinioni  troppo schietto con il suo insegnante Padre Cazzullo decide di chiudere il discorso tirandogli contro il calamaio: è già un segnale di  un carattere focoso e istintivo che gli creerà spesso problemi nelle varie fasi della sua vita. Rimandato a settembre in tutte le materie con sette in condotta, non  si presenterà agli esami di riparazione anche perchè nel frattempo la madre decide di cedere l’attività in latteria, ma la sera prima della firma dell’atto i locali vengono svuotati di ogni materiale, compresi i bellissimi e costosissimi lampadari di Murano, dagli stessi sedicenti compratori che fuggono lasciando i muri vuoti ed, ovviamente, l’atto d’acquisto in bianco.

Mario  interrompe gli studi  e si mette in cerca di lavoro, ma non ha molta fortuna: lavori precari, promesse non mantenute, speranze che diventano presto  illusioni e fallimenti lo portano  sempre più a tradurre la rabbia e i sogni su fogli di carta e nascono i suoi primi versi. Ma la vita comunque continua, trova un posto fisso all’officina del gas, incontra sua moglie Giuseppina, la sposa e dopo un anno nasce  mia sorella Daniela.

Siamo nel 1957. Tra lavoro e famiglia ogni tanto trova il tempo per scrivere le sue poesie: timidamente inizia a leggere i suoi scritti ad amici e parenti, che lo incoraggiano a proseguire nella scrittura dei suoi versi, sia  in italiano sia  in dialetto savonese, che poco alla volta diventa la sua vera lingua poetica. Il 1964 è un anno fondamentale, anno di grandi emozioni contrastanti…tutto in un freddo gennaio…la vita, la mia nascita, e la morte, la perdita definitiva della madre, dopo solo una settimana dall’arrivo tanto atteso del maschietto di famiglia.  Il Natale del 1963 (la nonna era caduta quella notte andando a Messa, e non si era più ripresa) diventa l’ultimo Natale, e  il momento dei ricordi di bambino che si infrangono nel mondo degli adulti, e si ritrova a scrivere frasi come “O madre, o madre, sono solo. In cielo sei andata…” (Natale de vei, Natale d’ancheu” – scritta nel 1973), “..è stato l’ultimo giorno di Natale che hai passato con  noi e al ventitrè te ne sei andata via…” (“Natali de vei – Regordo o 1963” scritta nel 1980). Mario lavora sodo ma ha già scritto alcune delle sue poesie più belle in dialetto savonese: O mae ma, breve scorcio di mar ligure nella sonorità dei termini dialettali marinareschi, A mae taera, un acquarello in versi che si sviluppa con pennellate di luce su angoli della liguria. Entra come socio nell’associazione culturale “A campanassa”,   partecipa  ad alcune rassegne di poesia e si classifica terzo assoluto nel 1975 al premio “Laurus” di Stresa,  negli stessi anni ottiene riconoscimenti e piazzamenti d’onore anche nelle gare di poesia organizzate dalla “A Campanassa”, associazione che pero’ lascerà per un’altro dei suoi diverbi focosi.

La svolta pero’ avviene a fine 1976. Un amico, per caso lo invita a duettare in diretta ai microfoni di Radio Savona Sound: leggono poesie di autori savonesi celebri e anche qualche sua poesia utilizzando il nome d’arte Claodin do Giabbe.  L’esordio è un trionfo e i ragazzi di Radio Savona Sound confermano ai due uno spazio domenicale dalle 11 alle 13. Alla seconda puntata Claodin aspetta invano che arrivi l’amico Lu, che nel frattempo si è ammalato, e trasmette da solo ma  grazie a Lu il fortunato programma ha inizio e continuerà ad andare in onda fino alla fine degli anni ’90, quando Claodin  ormai in pensione, indebolito da problemi sempre più seri di salute si ritira in casa a passare i suoi ultimi anni, continuando però a scrivere nel suo amato vernacolo. 

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«Con ti, se ne va n’epoca, forse ciû povia de quella che vivemmo […]
l’epoca che se ti parlâvi in dialetto te capivan »
(Mario Scaglia, A-a vegia çiminea, 1975)

Nel torrido calore deI 27 luglio del 2006, decide di raggiungere la “fioria cianua” di una sua poesia per godere un po’ del fresco e della pace eterna di quei luoghi.

Nei due decenni a partire dal 1976 Mario-Claodin si prodiga in miriadi di attività: la sua trasmissione si amplia, oltre alla domenica dove l’appuntamento fisso è con “l’antologia di Claodin” si aprono due inserti serali il martedi e il giovedi sera, e tutte le mattine alle otto allo scalpicciare di una carrozza la sua voce raccontava i fatti della giornata agli ascoltatori di Radio Savona Sound con “l’almanacco del giorno“. E’  vulcanico, organizza serate presso i luoghi di ritrovo più popolari come le società di mutuo soccorso, le parrocchie, le associazioni no profit e culturali, organizza giochi radiofonici, indice gare di poesia, pubblica libri ed almanacchi, scrive periodicamente sul quotidiano “Il secolo XIX” un editoriale dove, in dialetto savonese, riporta alla luce luoghi e modi di dire, personaggi di Savona e semplici cittadini di un tempo, macchiette di quartiere ormai scomparse ma rimaste vive nella mente delle persone. In tutto questo continua fino al momento del pensionamento il suo lavoro all’officina del gas e tutta l’attività viene svolta in modo gratuito, per passione, per l’amore del suo dialetto e della sua terra, coprendo i costi che vengono sostenuti per la stampa dei libri suoi e delle antologie dialettali o del disco inciso con la collaborazione artistica di Ivano Nicolini grazie ad alcune sponsorizzazioni locali, che pero’ talvolta compensava con percentuali dello stipendio non essendo sufficienti a raggiungere il budget necessario.

Nella realizzazione di questo forse involontario progetto locale Claodin riesce a risvegliare un sentimento di amore verso la cultura popolare nella gente, svolgendo al contempo in questo un’operazione di socializzazione che fino a quei tempi era praticamente sconosciuta, richiamando intorno a se’ gente comune, poeti, artisti, musicisti, cantanti, squadre di canto popolari, corali alpine… Socializzazione che era effetto delle radio locali che aprivano a gruppi sempre più ampi di persone le possibilità di confronto e di una libertà che a trent’anni dalla fine della guerra iniziava a fasri maggior spazio in mezzo ad un’ancora assillante censura e modalità di gestione della cultura chiusa secondo canoni restrittivi e moralistici.

L’uso del dialetto gli permette di superare alcuni dei limiti imposti, dove nell’essere voce del popolo gli è concesso di esprimere mugugni e sentimenti che altrimenti non possono trovare sfogo. Nel fare questo, il suo costante riferimento è Beppin Da Cà, Giuseppe Cava, e nell’eterna diatriba relativa all’utilizzo di una grafia ligure lui sposa il modo di scrivere il dialetto che era dei genovesi di fine ‘800 e di Giuseppe Cava. Utilizzerà sempre questa grafia fino all’ultimo, pur dicendo che per lui “non è importante come lo si scrive, ma scriverlo e ancor di più parlarlo”. Ma posso assicurarvi che lui lo ha parlato ed ancor più lo ha scritto… e come potevo a questo punto, trovandomi con migliaia di “scartoffie” scritte a mano o a macchina, piene di personaggi, di modi di dire, di parole disuete, in una lingua quasi arcaica, con poesie così struggenti… come potevo ignorare tutto questo? “

www.claodin.it

Claodin Dö Giabbe – Ö Mae Mâ
S’arsa, s’arröbatta, se rinfranze,
cöre lesto sciû, verso da spiaggia
e za de nêuvo ö törna a spûmezzâ,
arsandöse e abbassandose,
ö mae mâ.

Oua l’é verde, grossö, tömöltöso,
s’infranze in sce l’aenn-a con violensa,
se sente sordo o sêu romörezzâ
lazû in sce-i schêuggi,
ö mae mâ.

Oua o l’é limpido e azzûrro,
con fresche brixe che gh’increspan l’aegöa,
de remme ûn lento, lento sciabordâ,
e veie gianche filanti a l’orizzönte
ö mae mâ.

E gemme argentee, fregogge d’ûniverso,
e a lûnna a se respegia sbarassinn-a
mentre o gh’é e barche che van a-a lampâ
bonn-a pesca figgiêu
in sce-ö mae mâ.

Scaglia Mario – Il mio mare

S’alza, si inciampa, si infrange,
corre veloce su verso la spiagga
e già di nuovo torna a spumeggiare
alzandosi e abbassandosi
il mio mare.

Ora è verde, grosso, tumultuoso,
si infrange sulla rena con violenza,
si sente sordo il suo rumoreggiare
laggiù sugli scogli,
il mio mare.

Ora è limpido e azzurro
con fresche brezze che gli increspano l’acqua,
di remi un lento, lento sciabordio,
e vele bianche filanti all’orizzonte
il mio mare.

E gemme argentee, briciole d’universo,
e la luna si rispecchia sbarazzina
mentre le barche vanno alla lampara
buona pesca, figlioli,
sul mio mare.

Claödin dö Giabbe – A-o vegio flautista

De votte, passandö da Via Piave,
sentö ûn scigöelâ che o me reciamma,
in te l’ostaia lì da-a ferrövia,
ûn pöstö a-a bönn-a, cöscì,
senza preteise,
ûn föndegö de Sann-a
de quelli de ‘na votta.

Ti trêuvi facce
che pôan scörpie in tö legnö,
de gente senza tempo, quaexi antiga.

O gh’è ö pittö, o vegio caafattö,
gh’è l’ortolan, o bottâ,
gh’è ö vegiö penscionou
che ö l’ha sciûsciou bottigge
pe’ ‘na vitta,
gh’è ‘na lavea,
che a se ne sciorbe ûn quartö,
gh’è ö massacan, ö spegassin,
ö pescou, ö battilamma, ö savattin,
gh’è quaexi tûtta a stoia
de Sann-a de ‘na votta,
de facce e gente
che poan quaexi fantasmi,
e ‘n sêunno döçe
se sente in söttöföndö
l’è ûn flauto
che lento ö se fâ stradda
tra ö fûmmö de sigâri,
tra l’aodö dö vin,
sön vegie aiette, sön vegie melodie
sciortie da ûn flaöto doçe
sciûsciae da ûn vegio
che ormai ö l’è fêua dö tempo

Mario Scaglia  – Al vecchio flautista

A volte, passando da via Piave,
sento un fischiettio che mi richiama
nell’osteria li dalla ferrovia
un posto alla buona, cosi’,
senza pretese,
un fondaco di Savona
di quelli di una volta.

Ci trovi facce
che sembrano scolpite nel legno
di gente senza tempo, quasi antica.

C’e’ il pittore, il vecchio calafato,
c’e’ l’ortolano, il bottaio,
c’e’ il vecchio pensionato
che ha soffiato bottiglie
per una vita
c’è una lavandaia
che se ne beve un quarto,
c’e’ il muratore, l’imbianchino,
il pescatore, il fabbro, il ciabattino,
c’e’ quasi tutta la storia
della Savona di una volta
di facce e gente
che sembrano quasi fantasmi,
e un suono dolce
si sente in sottofondo
è un flauto
che lento si fa stradda
tra il fumo dei sigari,
tra l’odore del vino,
sono vecchie ariette, sono vecchie melodie
uscite da un flauto dolce
soffiate da un vecchio
che ormai è fuori dal tempo.

 


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