🌹Auguri a noi, donne violentate, ogni giorno, ogni ora, ogni minuto… Dicono che sia per amore o ignoranza 🤷♂️ prepotenza o corruzione, non lo sappiamo noi il perché, ma conosciamo bene la i boia della nostra sofferenza. Donne rosa pink , blu, fucsia e non solo. Donne azzurre come il cielo, come il figlio che avrebbero voluto, curato, sognato, o perduto, amato dal loro pancione avventizio.
🌹Alle donne nere come le notti, buie, ad aspettare, speranze viaggianti, su stazioni in arrivo/partenze, “plin-plon 🎶 …l’aereo in arrivo da…”.
🌹Auguri alle donne arancio tramonto del futuro che at-tende un altro giorno: domani sarà migliore?
🌹Auguri alle donne che respirano nel giallo delle luci al neon, schiave e padrone di vite non scelte.
🌹Auguri a quelle che guardano oltre il soffitto che non hanno più, ma non era il soffritto?
🌹Auguri alle donne dei soffitti crollati, dei soffitti da costruire con amori passati, in arrivo, alle donne, piaganti di rosso d’amore.
🌹 Auguri a noi donne “a rotelle”, in movimento agitato, determinato, seppur con i bastoni bianchi o con un foglietto ed una penna, per essere comprese.
🌹Auguri alle donne che non si rassegnano, come me, violentata invisibile dalla violenza che non conosce di esserlo. Eppure fa male. Le mie cicatrici capite solo da sorelle (e fratelli) con container colmi di segni da mostrare, a testa alta. Noi sopravvissuti e portatori di non violenza che è color arcobaleno, come la pace che non smetterò mai di cercare! 🌈© Lorella Ronconi
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AUGURI A NOI, DONNE.
8 MARZO, C’E’ BISOGNO DI SILENZIO, DONNE ANCORA AI MARGINI
Come l’azzurro del cielo
Una riflessione, un momento di silenzio, una poesia, solo una senza troppi merletti. Qualche riga per parlare di prigionia, di violenza, per sognare la libertà.
Ci sono prigionie che sanno di guerra, prigionie che sanno di grate oltre il quale scorrono le vite e fioriscono le giornate. Ci sono prigionie invisibili, silenti, senza grate, senza condanna: prigionie che sanno di indifferenza, di porte strette, di corpi che da soli non possono muoversi.
Violenze inevidenti: donne che sono ancora ai margini, se non proprio estraniate dalla vita sociale. Io stessa violentata dalle barriere fisiche e culturali: io che ogni giorno vado avanti, io che non mollo: ma quante ve ne sono, come me, che però non hanno la fortuna di poter essere sfacciate, di poter parlare?
Ci unisco una poesia, una sola, senza troppi balli e canzoni, perché vorrei si potesse riflettere più spesso sulle donne disabili. È una poesia per cantare la libertà, la speranza, il sogno futuro che ci rende belle.
Noi donne ci vestiamo di sogni: ci basta poco per essere forti: una speranza che ci prenda per mano.
COME L’AZZURRO NEL CIELO Libero, come l'azzurro che si staglia nel cielo. Libero, come un soffio di fiato nel gelo. Libero, come un pensiero in gabbia prigioniero. Libero, come un sogno che ti avvolge leggero.
Questa mia riflessione si unisce al silenzio di molte persone in questi giorni.
Sono rimasta molto toccata, profondamente rattristata dalle violenze perpetrate sulle donne in Italia: violenze che ancora non si interrompono.
Guerre e donne che fuggono piangendo con i figli, le loro case distrutte. Donne senza lavoro: un lavoro in cui tutti sperano, che serve a costruire un futuro per la loro vita.
Donne che vengono tradite: non si calmano mai i cuori malati di chi aveva promesso loro l’amore. Ancora violenza, ancora omicidi sulle donne.
Due bambine, due piccole donne uccise e ancora lacrime di donne bambine morte per l’onore di dare la vita per la bandiera. Non mi viene da cantare, non c’è nulla da festeggiare.
Donne disabili, invisibili, violentate dall’indifferenza degli operatori, degli ambulatori, dei consultori: donne che vivono nell’indifferenza del mondo.
Il loro genere non è “donna”, è “poverina”. Non c’è dignità per le donne disabili.
Violenza è stereotipo, è luogo comune, è retaggio culturale: è “lei da qui non entra”, è “mi dispiace non è previsto per lei”.
C’è bisogno di silenzio per riflettere, non di troppa poesia. Non c’è da cantare, ma da lavorare.
Da operare perché non ci siano più lacrime e sofferenze, ma i sorrisi dei bambini e il buon senso. Operare per il rispetto e i diritti di tutti. Donne ed uomini.
C’è bisogno di silenzio, per riflettere su quanta violenza e quante vittime ci siano: vittime della violenza visibile e della violenza invisibile. Abbracciamo la pace e facciamo qualcosa di per noi vittime di violenza, vittime del lavoro, vittime dell’omofobia, vittime dell’indifferenza.
Nonostante e comunque: buon 8 marzo.
© Lorella Ronconi
INDIFFERENZA E VERGOGNA: IN THAILANDIA 4.000 BAMBINI PROFUGHI RINCHIUSI IN PRIGIONE E 375.000 RISCHIANO LA STESSA FINE: INCREDIBILE INDIFFERENZA DEL MONDO “OCCIDENTALE”
Fuggono da Birmania, Pakistan, Sri Lanka, Siria, Cambogia, Laos. Secondo le convenzioni internazionali, si tratta di rifugiati. Per il governo, invece, sono criminali e per questo vengono sbattuti in prigione. Ecco la sorte dei 375.000 bambini emigrati in Thailandia, a cui i “grandi” hanno negato la luna.
«Abbiamo lasciato il Pakistan perchè avevamo paura di finire in prigione. Ma nell’IDC in Thailandia, siamo rimasti due anni… Non abbiamo visto la luna per due anni». Ali A., rifugiato pakistano, prigioniero thailandese, bambino.
Si chiamano Immigration Detention Centers (Idc). Sono le prigioni in cui vengono rinchiusi migliaia di bambini ed adulti in Thailandia, con la “colpa” di aver desiderato un futuro migliore, lontano da guerre, povertà, fame, regimi dittatoriali. La Thailandia, infatti, non ha firmato la Convenzione dei Rifugiati del 1951 nè il relativo Protocollo del 1967. Pertanto, in questo Paese, essere migranti sprovvisti di visto è un reato che si sconta con la galera, indipendentemente dall’età. In barba alla giurisprudenza internazionale. E, soprattutto, in barba alla tutela dei diritti dei minori stabilita dalla relativa Convenzione Internazionale, a cui la Thailandia ha aderito.
Sono infatti ben trecentosettantacinquemila i bambini emigrati in questa nazione che, ad oggi, rischiano di essere arrestati. Come quei quattromila bimbi che ogni anno vengono rinchiusi in celle sovraffollate, luride, senza sufficiente cibo o cure. E’ questo il quadro drammatico riportatoci da Human Rights Watch attraverso il suo recente rapporto “Two Years with No Moon: Immigration Detention of Children in Thailand”.
Gli arresti avvengono ovunque: nei luoghi di lavoro, al mercato, per strada, spesso in seguito a veri e propri raid della polizia. Qualche bambino a volte si salva vestendo l’uniforme scolastica, in virtù dell’”Education for all”, la politica educativa thailandese stilata nel 2005 che stabilisce il diritto all’educazione per tutti, migranti compresi. Le reclusioni sono effettuate a tempo indeterminato e senza che i familiari ricevano alcun tipo d’informazione da parte delle autorità. Inoltre, non esistono meccanismi giudiziari affidabili a cui possano appellarsi per ottenere la propria libertà o quella dei loro cari. Trattasi, a tutti gli effetti, di detenzioni minorili arbitrarie.
Come se non bastasse, per poter uscire di prigione, bisogna anticipare le spese di rimpatrio. Cioè, i detenuti devono reperire sufficienti risorse economiche perchè il governo thailandese, che li trattiene illegalmente, li rispedisca nei luoghi da dove sono fuggiti e dove rischiano la vita. Nel caso di reclusione dell’intero nucleo familiare, potrebbero trascorrere anni prima di tornare in libertà. La stessa polizia spesso richiede denaro in cambio del rilascio: cifre che vanno dai duecento agli ottomila baht (sei-duecentocinquanta dollari).
I traumi psicologici che segnano questi bambini sono particolarmente violenti. Si tratta di minori spesso fuggiti da conflitti ed indigenza che, invece di trovare pace e serenità, vengono arrestati e sbattuti in squallide carceri. Dove i soprusi da parte delle guardie e degli altri detenuti sono purtroppo all’ordine del giorno.
Particolarmente gravosa è la situazione dei bambini detenuti nell’Idc di Bangkok: immaginate cosa significhi vivere in una cella così affollata da non riuscire a sdraiarsi neppure per dormire, infestata dai ratti, dove vengono stipate molte più delle ottanta persone previste, con un’unica latrina funzionante. Nel 2013, nell’Idc della provincia di Phang Nga, famosa per la sua baia paradisiaca, vennero arrestati centinaia di rifugiati politici di etnia Rohingya fuggiti dalla Birmania. Circa trecento persone, tra cui minori non accompagnati, vennero rinchiusi in due celle dalla capienza di quindici uomini. Otto morirono a causa di malattie provocate dalle pessime condizioni igieniche e dall’iperaffollamento.
Prima del golpe militare avvenuto a maggio, il governo aveva mosso qualche progresso in termine di regolarizzazione della posizione dei lavoratori migranti; in seguito al colpo di stato, la notizia di un ulteriore inasprimento del trattamento rivolto a rifugiati e immigrati ha letteralmente scatenato l’esodo di duecentoquarantaseimila migranti cambogiani, tra l’8 e il 25 giugno scorsi. Il National Council for Peace and Order thailandese, dal canto suo, ha negato l’esistenza di misure restrittive riguardanti l’immigrazione, annunciando la creazione di permessi temporanei di lavoro da rinnovare eventualmente dopo sessanta giorni.
La maggiorparte dei rifugiati che vivono in Thailandia proviene dalla Birmania: si tratta di almeno settantottomila persone, di cui più di trentaquattromila bambini, secondo l’Unhcr, anche se l’ong The Border Consortium parla di oltre centodiciassettemila individui. Chi di loro vive nei campi profughi, dipende totalmente dalla agenzie internazionali; chi invece vuole ricostruire autonomamente il proprio futuro avventurandosi per la Thailandia in cerca di lavoro, rischia di essere arrestato, detenuto e rimpatriato. Lo stesso Unhcr ha dei poteri d’azione molto limitati: può rilasciare dei “Asylum Seeker Certificates”, una sorta di salvacondotta per i migranti rifugiati (ma non a birmani, nord coreani e hmong del Laos) che però non sempre vengono riconosciuti dalle autorità.
Eppure, soluzioni alternative al carcere si potrebbero prendere facilmente in considerazione. L’International Detention Coalition, un’associazione di oltre duecentocinquanta ong che lavorano in cinquanta nazioni per proteggere i diritti dei migranti detenuti, a tal fine ha realizzato una proposta atta a scongiurare la reclusione dei bambini, “There are Alternatives: A Handbook for Preventing Unnecessary Immigration Detention”. Ci auguriamo che il nuovo governo ne prenda atto. E che i bimbi imprigionati nelle carceri thailandesi possano presto tornare a vedere la luna brillare in alto nel cielo.